Tindaro Granata Attore, scrittore e regista teatrale di fama internazionale. “Premio della Critica Teatrale 2012”, "Premio Mariangela Melato" come Miglior Attore; "Premio Fersen" come “Miglior Regia 2013”,"Premio Franco Enriquez" miglior testo civico 2014
Tindaro Granata Attore, scrittore e regista teatrale di fama internazionale. “Premio della Critica Teatrale 2012”, "Premio Mariangela Melato" come Miglior Attore; "Premio Fersen" come “Miglior Regia 2013”,"Premio Franco Enriquez" miglior testo civico 2014

TINDARO GRANATA

Un'altra voce

Testo critico presente sul catalogo "Woman for Woman"

 

Ho giurato di non stare mai in silenzio in qualunque luogo e situazione in cui degli esseri umani debbano essere costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato. Questo ci insegna Èlie Wiesel, Premio Nobel per la pace, e il suo pensiero è idealmente il filo che conduce alle interessanti ed efficaci foto di Elisa Martorana e ho creduto che le immagini e il progetto potessero essere l’occasione e il modo giusto per dare un contributo alle vittime della violenza. Vorremmo una voce “altra” per quelle immagini che già da sole parlano al cuore. La lingua muta della fotografia, ma è davvero muta? Ogni foto sarà affiancata dalla voce di una donna e attraverso le parole di grandi della letteratura, della poesia e del teatro, si racconterà una storia di cui la donna è la protagonista: la bellezza, la dolcezza, la maternità, la forza e il coraggio. Ho visto “oltre” le foto di Elisa Martorana, ho anche sentito linguaggi e sono rimasto immobile a pensare ho avuto la conferma che in un mondo senza donne l’uomo sarebbe soltanto “una cosa”. “Woman for Woman” è un momento di condivisione, un momento di riflessione, la ricerca della gioia per coloro cui il sorriso è stato spento ingiustamente.

In foto: Arrigo Musti - Pittore internazionale 54° Biennale di Venezia 2011
In foto: Arrigo Musti - Pittore internazionale 54° Biennale di Venezia 2011

ARRIGO MUSTI

La quotidianità che stupisce

 

Conobbi Elisa Martorana per caso. Mi chiamò (poiché mi riconobbe, a Bagheria può capitare) ad una mostra di fotografia, contigua alla sua, alcuni anni fa in un palazzo storico di Bagheria. La sua mostra si intitolava “Quelli di...”; gli occhi le brillavano, poiché non vedeva l’ora di mostrare il frutto del suo lavoro sui caratterotipi odierni dei bagheresi. Diedi uno sguardo, purtroppo veloce, alle sue fotografie, poiché avevo poco tempo a disposizione, ma fu quello che bastò per cogliere qualcosa che, a distanza di tempo, avrei saputo apprezzare davvero molto. Al punto che non ebbi dubbi ad incaricarla di curare gli aspetti fotografici di una mia mostra personale, tenutasi a Roma qualche anno dopo. E.M. ha uno stupore che stupisce. Nell’epoca del sonno e del torpore, indotto dai media e dai social network, E.M. (rectius il suo obiettivo) guarda gli uomini ed il mondo con gli occhi di un’adolescente e con la mente di una donna vissuta. Cercherò di spiegarlo meglio. Chi vive, o ha vissuto, come me (prima di trasferirmi a Roma) a Bagheria, per molto tempo, diventa, giocoforza, assuefatto agli sguardi della gente ed ai loro vezzi; ed allora nulla desta più stupore di questi comportamenti, al punto che li si può considerare legittimamente dei linguaggi non verbali universali.

Non è così. Solo viaggiando, o vivendo altrove, lo si può capire; oppure guardando le foto di E.M. appartenenti alla mostra “Quelli di...”. Se vi soffermerete su una sola di queste, ove il bagherese di turno regge in mano la foto che lo caratterizza nel film “Baarìa” di G. Tornatore, scoprirete un universo che altrimenti si perderebbe. È un esercizio mentale che richiede qualche minuto. Vi chiedo cortesemente di farlo. Scoprirete come, quando si osserva il cielo di notte, per qualche minuto, scoprendo molte altre stelle, come si schiuderà ai vostri occhi un universo di significati, che la fine psicologia di E.M. ha saputo cogliere. Anzitutto l’orgoglio. A pochi attori hollywoodiani, di esperienza, capita di mettere tanto orgoglio nelle loro fotografie, forse a nessuno. Per carità, legittimo sentimento considerato l’amore e l’importanza che i bagheresi nutrono verso il loro compaesano regista e verso tutti i suoi films-figli. Tuttavia questo sentimento non è per nulla nascosto, anzi, talvolta, è ostentato. In secondo luogo scoprirete nuovamente l’orgoglio. Questa volta dovuto al fatto di essere bagheresi. Per noi è come essere di New York o di Londra, non cambia nulla. Questa sensazione è, poi, confermata dal fatto che da noi si usa dire: “Peccato! È stato costretto/a ad andar via per affermarsi!”. Come se fosse possibile il contrario. È sotteso, infatti, a questo luogo comune, che Bagheria possa essere una capitale come New York e che possa dispensare riconoscimenti mondiali, senza mai comprare il biglietto di un aereo o di un treno e affittare casa fuori. Questa considerazione ipertrofica delle potenzialità di questa cittadina, credo affondi le sue radici molto profonde, in un retroterra culturale che non è il caso di affrontare in questa sede. Il terzo significato che si può scorgere dietro gli sguardi de quibus, è nuovamente l’orgoglio! In questo ennesimo caso per essere stati così bravi da meritare un posto nell’Olimpo degli attori, almeno così io intuisco, potrei sbagliarmi. Infatti esso trapela dalla soddisfazione, legittima che si coglie negli sguardi, per aver partecipato, in qualità di comparsa, ad un film bellissimo, come Baarìa di G. Tornatore. Sappiamo benissimo, che il regista in questione non sceglie mai nulla e nessuno a caso, anzi è raffinatissimo nella ponderatezza della scelta. Ma trattasi pur sempre di una comparsa! 

Questo lungo excursus sull’autoreferenzialità orgogliosa dei bagheresi, ne fa un caso raro, da studiare. L’orgoglio, a mio modo di vedere, ha salvato in gran parte la nostra terra e seppur ne abbia contrassegnato ineludibili limiti, ne ha fatto un una terra ricca di personalità e talenti, quando questi si sono espressi nel capo delle attività umane lecite. Potrei aggiungere che dalle foto trapelano mille altre sfaccettature, ma questa al momento mi sembra quella più degna di nota. Il resto all’immaginazione di voi osservatori.

E.M. questo lo sa e lo sapeva, infatti, con la sua psicologia impietosa e gaudente, ha saputo mettere, “ora ci vuole” nero su bianco, quel microcosmo che si chiama Bagheria, anzi, che si chiamano bagheresi, anzi che siamo noi e finanche io e finanche la penna con la quale scrivo, che da buon bagherese, non è una qualsiasi Bic, ma un pezzo unico, da conservare (chi ne vuole cogliere la bonaria ironia...). E.M. riesce, ancora, a stupirsi della sua quotidianità e dimostra di saper cogliere col suo obiettivo fotografico, i meandri della mente dei suoi compaesani. Con ironica lucidità ella anticipa allo spettatore che siamo di fronte a una disamina molto più accurata di quella che sembra prima facie.

Vi sono, infatti, due modi di guardare la realtà: osservarla in superficie o guardarla analiticamente e con stupore. Le foto di E.M. si offrono a tutti e due, ciascuno sceglierà secondo le proprie propensioni, ma mi permetto di indicare la seconda come via decisamente più interessante.

Pochi artisti sanno fornirci le chiavi per aprire, con un click, un mondo sommerso, seppur vicino, che può ancora stupirci.

in foto: Giusy La Piana (giornalista, saggista e autrice di testi teatrali, televisivi e musicali, esperta di mafia, criminologa.)
in foto: Giusy La Piana (giornalista, saggista e autrice di testi teatrali, televisivi e musicali, esperta di mafia, criminologa.)

GIUSY LA PIANA

La matrigna Bagheria

 

Quando negli anni Ottanta andavo in vacanza fuori dalla Sicilia con i miei genitori spesso ci chiedevano : “ di dove siete?”, noi rispondevamo “ di Bagheria” erano frequenti commenti del tipo: “ Dove c’è la mafia”, “ Nel triangolo della morte”, “ E voi li conoscete i mafiosi?”. All’epoca ero ancora una bambina ma ne soffrivo perché fuori dalla Sicilia la percezione della città che mi sembrava il centro del mondo era brutta, sporca, grigia. In quegli anni i mafiosi si ammazzavano fra loro ed eliminavano chiunque si frapponesse ai loro obiettivi. Eppure politici e molti uomini noti del territorio sostenevano di non essere certi della reale esistenza della mafia, quasi come se fosse stata la perversa invenzione di uno scrittore di noir. Lo ricordo ancora oggi: mio padre stava dipingendo un quadro che raffigurava Villa Palagonia, io giocavo con i pastelli cercando di imitarlo, quando in radio diedero la notizia dell’uccisione a Bagheria di un ex senatore. Seria gli chiesi: “ Cosa è la mafia?” Rimase perplesso, avrà pensato: “Come lo spiego a una bambina?”. Non mi rispose, prese un libro su Bagheria con foto in bianco e nero, a fare da segnalibro c’era una fotografia con un uomo anziano in campagna ( qualche anno dopo avrei appreso che era una cartolina con dedica del poeta Giacomo Giardina). Poi mi domandò: “ Ti piacciono?” . E io: “ Belle!” . Mi disse: “Vai a lavarti le mani, dobbiamo uscire”. Mi portò a vedere le ville di Baghe- ria. Io insistevo: “Ma non sono come quelle del libro”. E lui . “ Ci sono ma non sono belle come prima. Perché questo fa la mafia: fa diventare più brutte le cose belle”. Io esclamai: “Ah, come Piero che mi scarabocchia il cestino e mi strappa i disegni”. In quell’occasione conobbi la contraddizione che da sempre si respira a Baghe- ria: da una parte l’arte e la sua forza e dall’altra l’oscurità dettata da una incapacità di riscatto completo. Negli anni Novanta di questo ha parlato Dacia Maraini con il suo volume “ Bagheria”. Un decennio dopo Giuseppe Tornatore con il suo “Baaria” ha dato alla nostra cittadina un’occasione irripetibile. Ho seguito le riprese di quel film per il quotidiano la Repubblica e poi ho avuto la fortuna di curare la comunicazione integrata relativa alla prima qui documentata, cogliendone tutta l’alchimia, da un nuovo e promettente talento che sta fiorendo in questa cittadina, Elisa Martorana. Non ho mai compreso perché a Bagheria non esistano percorsi turistici che immortalino i luoghi che il regista ha scelto come set e non ho compreso neppure come la città possa essersi lasciata sfug- gire tutta l’eco mediatica, un vero toccasana per la sua immagine, che le decine di personaggi illustri qui ospitati avrebbero potuto e forse, visto che la città è stata trasformata in un set per mesi e mesi, avrebbero dovuto dare a Bagheria. La tesi di Elisa da una parte è uno scrigno di pregevole memoria e dall’altra da un’indicazione chiara su quale sia la strada giusta per il futuro di questa città: investire sull’arte, sulla cultura, sulla meritocrazia, offrendo ai giovani la possibilità di esprimere al massimo le proprie capacità. Questa città con i suoi grandi talenti si è spesso rivelata matrigna: li ha abbandonati al proprio destino costringendoli a realizzarsi altrove, per poi celebrarli quando hanno conquistato la vetta. Mi piacerebbe invece che questo dono che Elisa fa alla sua amata città, dedicandole il momento più importante nella vita di uno studente, possa esserle ricambiato permettendo a lei, e a tanti altri baarioti di talento,  di farcela anche da qui senza l’obbligo di vivere la discrasia che affligge Bagheria: quando sei lontano ti viene il magone a pensarla ma quando ci vivi la confronti con altri luoghi e ti chiedi se arriverà mai l’era della fine della rassegnazione alle cose che non funzionano. Il lavoro di Elisa però mi fa sperare che il fuoco dell’arte e del cambiamento stia tornando a prendere forza.

in foto: Beatrice Feo Filangeri nobile e fondatrice del pop barocco. 52° Biennale di Venezia. La nobile è ritratta a fianco all'opera L'Albero di E.Martorana.
in foto: Beatrice Feo Filangeri nobile e fondatrice del pop barocco. 52° Biennale di Venezia. La nobile è ritratta a fianco all'opera L'Albero di E.Martorana.

BEATRICE FEO FILANGERI

The Orange Cube: l’Albero di Elisa Martorana

Critica completa pubblicata su VOIR

 

...L’albero è una forma d’arte spontanea, di grande impatto e bellezza, fonte di ispirazioni per miliardi di artisti, e mi viene in mente subito quello di Mondrian che diventerà puro astrattismo a tratti matematico. Un esempio di come partendo dagli alberi si possa arrivare alle forme d’arte più complesse (dalle opere di Mondrian prenderanno spunto per creare le cucine componibili e non solo). E tutto è partito da un albero. Mi torna in mente quello espressionista di Schiele: scheletrico e spoglio, specchio di un’epoca dura e prossima alla guerra. Mi vengono in mente quelli del nostro Lo Jacono (il ladro del sole) che li ritraeva con minuzia ed amore, impreziosendoli con la luce che faceva brillare il loro legno e le loro foglie. E poi penso a quello della vita di Klimt, a quelli tormentati di Van Gogh. Insomma quale artista non si è lasciato ammaliare dalla potenza e dall’energia di queste creature della terra meravigliose. E anche lei, che è un fotografa e grafica raffinatissima ed eclettica, una giovane bagherese, vulcanica organizzatrice di eventi d’arte a sfondo fortemente sociale: Elisa Martorana. Ne ha sentito il richiamo e lo ha ritratto nella sua opera. Una giovane artista poliedrica con cui è stata subito empatia. Oltre l’arte ci ha unito l’amore per la natura, una visione molto simile della vita, e lo stesso carattere combattivo e determinato. Così sono stata sua ospite alla Festa dell’Albero a Villa Filangeri di Cutò a Bagheria dove oltre a piantare l’albero della legalità e tanti altri alberi piantati dalle mani di bambini dai 4 anni ai 14 anni, Elisa ha presentato la sua opera fotografica di grande impatto artistico ed emotivo: “L’albero rosso”. Una fotografia stampata su tela che raffigura un albero formato da tanti bambini che intrecciano le loro mani e le loro gambe formando un albero con un tutt’uno con l’ambiente. Bambini come futuro, come speranza di un mondo migliore fondato sul rispetto della natura e su nuove prospettive civiche. L’ALBERO qui è la speranza di una società nuova che possa risorgere proprio dalla terra, espressa attraverso l’impegno delle nuove generazioni. L’artista ha affidato alla purezza dell’infanzia il suo concetto di rinascita, realizzando il suo albero fotografico, con gli alunni dell’Ambasciata dell’Amicizia. L’albero” stilisticamente rappresentato da esseri umani, perchè è esso stesso vita e fonte di vita, senza il quale non potremmo condurre una sana esistenza, nè dal punto di vista biologico né da quello prettamente estetico, in quanto fonte di bellezza ed ornamento per le nostre città. Simboleggia il riscatto da tutte quelle ingiustizie che affliggono la collettività e ne influenzano inesorabilmente il futuro. Quest’opera nasce per sostenere il dramma attuale della “terra dei fuochi” di tutti quei terreni contaminati. I frutti vengono ancora venduti alla grande distribuzione inquinando i cibi nelle tavole di tutti, ma l’albero si colora delle speranze, della sofferenze, del riscatto, delle problematiche di tutti gli italiani. Una tela che racchiude una miriadi di richiami, e di significati “L’Albero rosso” simbolo di rinascita. Sarà omaggiato agli abitanti di Novi di Modena e con loro a tutte le vittime del terremoto dell’Emilia del 2012. Simbolo ancora una volta di energia vitale, mentale e fisica, colpisce per i suoi colori; il rosso simbolo di forza e passione e la luce del verde, dove si lascia intravedere una linea di luce che crea un tricolore italiano, perchè l’arte non abbia confini e sia portatrice di messaggi concreti e costruttivi ovunque nella nostra nazione. Elisa Martorana artista sensibile alle problematiche dei più deboli e gli innocenti prosegue la sua ricerca artistico - fotografica e si addentra in temi sempre più spinosi e forti, emozionandoci con i suoi messaggi di grande impatto umano e sociale, volti ad un unico scopo, quello che dovrebbe essere sempre presente nell’arte: Il bene comune...

in foto:  Dott. Modesta Di Paola Teorica D'Arte
in foto: Dott. Modesta Di Paola Teorica D'Arte

MODESTA DI PAOLA

Tra reportage e poesia

 

L’opera fotografica di Elisa Martorana si contraddistingue per elementi documentaristici poetici e ricercati. La sua giovane opera, ma non per questo immatura e tendenziosa, può essere osservata in chiave meramente artistica o letta tramite gli strumenti del reportage. Un esempio di lavoro fotografico artistico è “Il mare, color del vino” (2010 – 2012), una serie fotografica nata da un incontro letterario. Il riferimento è il libro “Il mare color del vino” di Leonardo Sciascia in cui l’azzurro mare di Sicilia assume cupe venature rossastre, di color del vino appunto. Gli orizzonti immaginati da Leonardo Sciascia ispirano in chiave assolutamente personale quelli di Martorana che mostra lo stesso mare in una sequenza di immagini in bianco e nero, eccetto una che domina le altre per l’effetto rossastro dato dalle luci del porto. “Il fotocunto. La Santuzza Torna a Palermo” (2012) è invece un reportage mistico-fantasmagorico in cui una giovane Santuzza, torna a Palermo per “mostrare ciò che non si vuole vedere”. Questa serie fotografica nasce in occasione della mostra collettiva realizzatasi presso il Palazzo Costantino durante i giorni del Festino. La storia di questo palazzo è ben nota: il mecenate Roberto Ruggi Bilotti d’Aragona acquista il Palazzo per farne un albergo museo. Ottiene i fondi dalla Comunità Europea ma, a causa della lentezza burocratica, li perde costringendolo ad abbandonare il palazzo al suo destino di degrado e fatiscenza. Il Palazzo situato ai Quattro canti viene aperto dal suo proprietario il giorno del Festino della Santa e diviene sede di una quasi improvvisata mostra che ospita decine di artisti locali e non. Il soggetto predominante si indirizza naturalmente verso il tema della peste, la virulenza che attacca le belle architetture della nostra città devastate dalla desolazione e dal degrado. La Santuzza di Elisa Martorana torna dunque per mostrare ai palermitani un degrado a cui si sono assuefatti durante i decenni. Il fotocunto termina con la Santa che per salvare la città ritorna sul Monte Pellegrino per riconcedersi a Dio. Il racconto tra misticismo e fantasmagoria lancia quindi un messaggio di speranza. Speranza che indubbiamente viene rappresentato dai tanti giovani di questa nuova generazione desiderosi di cambiamento e coscienti che tale cambiamento avvenga solo osservando con occhi critici la nostra società consumata dalla collettiva indifferenza di chi si è abituato ad accettare. Elisa Martorana ha già alle spalle numerosi altri reportage che vertono sull’osservazione e la denuncia. “Palermo dream - avere una casa vera” (2011) nasce dall’incontro con il fotoreporter Fabio Artusi. Artusi e la sua giovane allieva visitano il campo container di Via Messina Montagna, emblema di una realtà sconosciuta e scomoda. Il reportage si centra sul racconto visivo della vita delle famiglie che alloggiavano all’interno del campo in attesa di una casa. Il messaggio che deriva da tale osservazione è dominato da un sentimento di comprensione e solidarietà, ma soprattutto dalla volontà di dar voce ad una comunità d’individui al di là degli stereotipi e da atteggiamenti pregiudizialmente ostili. L’impegno socio-culturale e il talento artistico della Martorana sono evidenti anche nell’opera grafica “Mafia Breakfast” donata a Vittorio Sgarbi in occasione della manifestazione Arte e Legalità all’Istituto d’Arte di Bagheria.  Nella sfera del reportage artistico vanno inserite la serie “Quelli di Bagheria dopo Baarìa” omaggio a Giuseppe Tornatore, “Vittime del dovere” e “Sensazioni visive”. La prima serie fotografica raccoglie dei ritratti ambientali, cioè ritratti di personaggi realizzati all’interno di un ambiente a loro conosciuto e familiare. La caratterizzazione del personaggio nel suo spazio vitale mette in relazione il film Baaria di Tornatore e il libro di Scianna “Quelli di Bagheria”, due riferimenti culturali a cui Martorana sembra essere particolarmente legata. I soggetti fotografati sono persone comuni di Bagheria ma anche gli attori che hanno interpretato un qualche ruolo nel film. La fotoreporter ritrae la persona mentre mostra una foto del suo personaggio. “Vittime del dovere” (2008) è uno scatto sofferto e ricercato. I soggetti principali sono un muro decadente, una scala rotta e una sedia di buona fattura distrutta e abbandonata. Acquisita dal Parlamento della Legalità, “Vittime del dovere” mostra in chiave eccezionalmente originale un concetto complesso e astratto. Elisa Martorana lascia agli oggetti il difficile compito di descrivere una dura condizione, uno stato di ingiustizia che lacera e deprime. “Sensazioni visive” (2007) è una serie fotografica che si basa sulla ricerca di elementi del quotidiano che siano caratterizzanti dell'ottica della fotografia sociale. Gli scatti realizzati sia al chiuso che all’aperto mostrano uno sguardo discreto e curioso, come di chi, osservando da dietro una persiana, riesce a raccogliere momenti di ricercata intimità: una colonna di sedie di plastica bianche in attesa che arrivi il giorno per essere usate, lo scorcio di una piazza silenziosa, donne anziane che chiacchierano, panni stesi o due paia di scarpe a confronto. Pur essendo l’occhio di una fotoreporter a captare queste immagini, la poetica che pervade la serie echeggia essenzialmente elementi privati ed intimi. Elisa Martorana sembra voler preservare momenti quotidiani per realizzare un archivio della memoria e documentare momenti atti a preservare i propri ricordi.